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Santi del 14 Febbraio

Il mio Santo > I Santi di Febbraio

*Beati 20 Mercedari di Palermo - Confessori, Vittime della Carità (14 Febbraio)

A Palermo, i Beati: Stefano Marchesi, lettore di filosofia; Pietro Nolasco e Giovanni Battista Mansa commendatori; Gaspare de Ortega, Giovanni Zorita, Giuseppe Latona, Vincenzo Calderon e Giovanni Battista de Sartis, sacerdoti; Gaspare Fajolo, Adriano Calabrò, Bonaventura Palmerio, Giovanni Ruiz, Vincenzo Bonello, Pietro Salanitro, Pietro Salino, Vincenzo Carrenzo, Andrea Schiafino e Vincenzo Salanito, coristi; Batilani Marsalio e Michele de la Rosa, conversi, furono vittime della carità durante la peste che devastava la città.
Questi mercedari spontaneamente si offrirono ad aiutare gli ammalati e venendo contagiati loro stessi divennero così martiri della carità.
L’Ordine li festeggia il 14 febbraio.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati 20 Mercedari di Palermo, pregate per noi.

*Sant'Alessandra d'Egitto - la Reclusa Penitente (14 Febbraio)

Etimologia: Alessandra = forma femminile di Alessandro, protettrice degli uomini, dal greco
É una Santa della Chiesa Copta, vissuta probabilmente nella seconda metà del IV secolo e morta verso la fine dello stesso. Le notizie pervenutaci sono fornite per primo da Palladio di Elenopoli (363 - ca. 437) nella “Historia Lausiaca” e poi dalla matrona romana Melania la Giovane (383-439) la quale una volta aveva fatto visita alla reclusa.
Nei primi secoli della Chiesa, si sentiva il bisogno, da parte dei penitenti, di trovare forme di mortificazione del corpo, per purificare sempre più lo spirito, così da poter accostarsi di più a Dio in intima unione, senza distrazioni dovute alle necessità e alle cure del corpo.
Pertanto si ricercavano anche forme di penitenza, ritenute oggi assurde e inconcepibili, come quella di vivere sopra una colonna, in una grotta, nel deserto, senza sedersi mai, senza parlare con nessuno o come in questo caso farsi murare in un ambiente (reclusione) con sola una piccola apertura per l’introduzione del cibo, affidata ad anime buone, con digiuni più o meno forzosi.
Condizioni di vita, diciamo oggi, ‘estreme’ che portavano il più delle volte ad una breve esistenza; Alessandra fu una di queste figure di eremiti, già più rara in quanto donna.
Nata ad Alessandria d’Egitto, fin da giovane si era chiusa in una specie di tomba, con una semplice finestra come apertura e che veniva utilizzata per il cibo; visse in questa condizione per dieci anni fino alla sua morte avvenuta il7 am_ïr (14 febbraio), quindi molto giovane, presumibilmente sui trent’anni.
Melania che l’aveva visitata, aggiunge che Alessandra aveva lasciato il mondo per sfuggire alle tentazioni provenienti da un uomo, credendo di salvare così la sua e altrui anima. Il tempo trascorreva pregando, lavorando e meditando sulle vita dei patriarchi, profeti, apostoli e martiri.
In un “Sinassario” si legge che Melania la Giovane, la serviva, cioè le procurava del cibo e delle bevande, vestita con un cappuccio da servo e quest’opera di misericordia l’estendeva anche ad altri penitenti del luogo.  

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Alessandra d'Egitto, pregate per noi.

*Sant'Antonino di Sorrento – Abate Benedettino (14 Febbraio)

Vissuto nel IX secolo, nato forse a Campagna d'Eboli, Antonino si fece benedettino a Cassino.
Quando il monastero fu devastato dai Longobardi, vagò per la Campania, finché non si fermò a Stabia, l'odierna Castellammare, dove fu amico del vescovo san Catello.
Questi gli lasciò la guida della diocesi, ma presto anche Antonino si ritirò con lui, eremita sui monti. Ai due apparve l'arcangelo Michele, chiedendo la costruzione di una chiesa sul Monte Faito (in una località che oggi si chiama Monte Sant'Angelo o Punta San Michele).
Essa divenne meta di pellegrini, soprattutto pastori e contadini. Antonino si stabilì poi a Sorrento e divenne abate del monastero di Sant'Agrippino.
È patrono di Sorrento e della sua penisola. Tra i miracoli a lui attribuiti figura il salvataggio di un bambino inghiottito da un mostro marino. (Avvenire)

Patronato: Sorrento
Martirologio Romano: Presso Sorrento in Campania, sant’Antonino, abate, che si ritirò in solitudine dopo che il suo monastero fu distrutto dai Longobardi.
Sant'Antonino nacque probabilmente a Campagna d'Eboli. Lasciò ben presto il suo paese per recarsi a Cassino dove divenne monaco benedettino. In quel tempo l'Italia era devastata dalle invasioni
barbariche ed anche il monastero di Montecassino fu saccheggiato dai longobardi, i monaci dovettero fuggire e si recarono a Roma presso il papa Pelagio II.
Sant'Antonino, invece, vagò per la Campania finché non arrivò a Stabia l'attuale Castellammare. Qui conobbe san Catello che ne era vescovo diventandone amico. San Catello desiderava dedicarsi alla vita contemplativa e, quando decise di ritirarsi sul Monte Aureo, affidò a Sant'Antonino la diocesi di Stabia.
Durante il periodo di reggenza della diocesi il richiamo alla vita monastica fu così forte che Antonino chiese a Catello di ritornare in sede. Antonino a sua volta si ritirò sul Monte Aureo; visse in una grotta naturale in solitudine cibandosi di erbe. Fu infine raggiunto da san Catello che decise nuovamente di ritirarsi sul monte e di dedicarsi alle cure della diocesi sporadicamente.
Un giorno ai due apparve l'arcangelo Michele che chiese che fosse costruita una chiesa in quel posto da dove si dominava il golfo e si ammirava il Vesuvio. Così i due santi cominciarono a costruire una chiesa in pietra e legno nel punto del Faito che ora si chiama Monte S. Angelo o Punta S. Michele. Dapprima vi salirono pastori, poi agricoltori finché san Catello fu accusato di stregoneria da un cattivo prete di Stabia, tale Tibeio, e fu richiamato dal papa a Roma e tenuto prigioniero finché ad un nuovo papa apparve in sogno Sant'Antonino che gli intimò di liberare l'amico.
San Catello ritornò a Stabia e si dedicò ad ampliare la chiesa sul monte che divenne meta di pellegrini. Fra tanti che si recavano sul monte vi erano moltissimi sorrentini che invitarono Antonino che già aveva fama di santo a stabilirsi a Sorrento. Fu accolto dall'abate Bonifacio nel monastero benedettino di S. Agrippino che si trovava dove sorge ora la basilica. Alla morte di Bonifacio, Antonino divenne suo successore.
Si racconta che un giorno un fanciullo che giocava sulla spiaggia di Sorrento fu inghiottito da una balena. La mamma disperata chiese aiuto a Sant'Antonino che si recò sulla spiaggia ed intimò ai pescatori di cercare il mostro marino e di condurlo in sua presenza.
Quando ciò avvenne fu aperto il ventre del mostro e ne uscì sano e salvo il fanciullo. Quest'episodio costituisce uno dei miracoli più importanti compiuti in vita dal santo che diventò un riferimento per tutta la città.
Dopo la sua morte avvenuta 13 secoli fa i sorrentini eressero la cripta e la basilica sul luogo della sua sepoltura, sul bastione della cinta muraria perché per suo volere fu sepolto né dentro, né fuori la città ma nelle mura della stessa. Ammirando i dipinti della basilica si intuisce l'amore di Sorrento per il santo ed i miracoli compiuti: la vittoria navale contro i saraceni, nell'assedio del terribile generale Grillo, la preservazione dalla peste, la liberazione dal colera, la liberazione degli indemoniati. Si racconta che quando Sorrento fu saccheggiata dai turchi e la statua trafugata, non avendo denaro a sufficienza per farne un'altra i sorrentini vi avevano rinunciato, ma ecco che avvenne il miracolo: Sant'Antonino si presentò in carne ed ossa allo scultore al quale pagò direttamente la statua.

(Autore: Carmelo Randello – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Antonino di Sorrento, pregate per noi.

*Sant'Aussenzio - Sacerdote ed Archimandrita (14 Febbraio)
m. Monte Skopa, Bitinia, 14 febbraio 473
Sant'Aussenzio, probabilmente figlio di un persiano di nome Addas, trascorse gran parte della sua vita quale eremita in Bitinia, regione dell'Ellesponto davanti a Costantinopoli. In precedenza era stato una delle guardie equestri dell'imperatore d'Oriente Teodosio II, regnante dal 408 al 450.
Venuto a conoscenza durante il servizio militare della vita eremitica praticata da parecchi asceti, Aussenzio decise di abbracciare il loro stile di vita stabilendosi sulla collina desertica di Oxia, a una dozzina di chilometri da Costantinopoli. Si guadagnò ben presto fama di santità e numerose persone cercavano il suo consiglio su questioni spirituali.
Sembra che anch'egli ad un certo punto venne accusato di monofisismo, dottrina che negava la natura umana di Gesù, ma venne scagionato. Aussenzio costruì un nuovo eremo sul monte Skopa, nei
pressi di Calcedonia, dedicando tutto il resto della propria vita alla pratica della mortificazione e all'istruzione dei suoi discepoli sempre più numerosi, tra i quali vi erano anche alcune donne, che vivevano ai piedi del monte Skopa ed erano conosciute come le «trichinaraeae», cioè indossatrici di sacchi. Aussenzio morì il 14 febbraio probabilmente nell'anno 473. (Avvenire)
Martirologio Romano: Sul monte Scopa in Bitinia, nell’odierna Turchia, Sant’Aussenzio, sacerdote e archimandrita, che, vivendo su un’altura come su una cattedra, difese con voce potente la fede calcedonese.
Sant’Aussenzio, probabilmente figlio di un persiano di nome Addas, trascorse gran parte della sua vita quale eremita in Bitinia, regione dell’Ellesponto frontale a Costantinopoli. In precedenza era stato una delle guardie equestri dell’imperatore d’Oriente Teodosio II, regnante dal 408 al 450 e sostenitore della causa monofisita. Venuto a conoscenza durante il servizio militare della vita eremitica praticata da parecchi asceti, Aussenzio decise allora di abbracciare totalmente il loro stile di vita stabilendosi sulla collina desertica di Oxia, a una dozzina di chilometri da Costantinopoli.
Si guadagnò ben presto una grande fama di santità e numerose persone cercavano il suo consiglio su questioni spirituali. Pare che ad un certo punto fu forse sospettato anch’egli di monofisismo, per contatti con l’erronea dottrina attribuita a Eutiche, secondo cui dopo l’Incarnazione in Cristo non rimase che la sola natura divina, e perciò nel 451 entrambi furono convocati a Calcedonia ove era stato convocato il IV concilio ecumenico. Eutiche fu condannato e deposto, mentre Aussenzio scagionato dall’imputazione poté tornare alla sua vita.
Sozomeno scrisse di lui: “Fu noto per la sua pietà piena di fede, lo zelo verso gli amici, la morigeratezza della vita, l’amore per le lettere e la profondità delle sue conoscenze nella letteratura sia secolare che ecclesiastica. Fu modesto e riservato nella condotta, nonostante avesse familiarità con l’imperatore e gli uomini di corte. La sua memoria è tuttora riverita dai monaci e dagli uomini religiosi che lo conobbero”. Aussenzio costruì un nuovo eremo sul monte Skopa, nei pressi di Calcedonia, dedicando tutto il resto della propria vita alla pratica della mortificazione ed all’istruzione dei suoi discepoli sempre più numerosi. Anch’egli, al pari di molti eremiti, pur amando la solitudine non riusciva a cacciare coloro che si recavano da lui in cerca di consiglio.
Ad un certo punto anche alcune donne si aggiunsero al novero dei suoi discepoli e vivevano in apposite comunità ai piedi del monte Skopa. Erano conosciute come le “trichinaraeae”, cioè indossatrici di sacchi, per via dei rozzi abiti che indossavano.
Alla morte di Aussenzio, probabilmente il 14 febbraio 473, le monache ottennero le spoglie del santo e le seppellirono nella chiesa del convento. In tale anniversario Sant’Aussenzio, sacerdote ed archimandrita, è ancora oggi commemorato dal Martyrologium Romanum.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Aussenzio, pregate per noi.

*Santi Bassiano, Tonione, Proto, Lucio, Cirione, Agatone, Mosè, Dionigi e Ammonio – Martiri di Alessandria (14 Febbraio)
Martirologio Romano: Ad Alessandria d’Egitto, commemorazione dei Santi martiri Bassiano, Toniono, Proto e Lucio, che furono gettati in mare, Cirione sacerdote, Agatone esorcista e Mosè, che furono arsi sul rogo, Dionigi e Ammonio, che trafitti con la spada raggiunsero la gloria eterna. Al 14 febbraio il Martirologio Romano commemora, divisa in vari gruppi, una lunga serie di martiri alessandrini.
Il secondo di tali gruppi riguarda appunto i Ss. Cirione prete, Bassiano lettore, Agatone esorcista e Mosè, i quali morirono arsi vivi.
L'elogio deriva da un'analoga nota del Martirologio Geronimiano, pure al 14 febbraio, dove però Bassiano è Bassione, e non vi si dice che fosse lettore.
Non ci è pervenuta nessun'altra fonte agiografica o liturgica da cui trarre qualche ulteriore informazione in merito.
Tuttavia, lo studio della nota geronimiana che riguarda tutta questa serie di martiri alessandrini (sono ventisei, a cui potrebbero aggiungersi altri quattro nomi collocati in fondo al medesimo testo) ci persuade che essa dovette attingere le sue informazioni da qualche passione allora esistente: infatti precisa per dieci di questi cristiani il genere del martirio che subirono, e per sette il grado che rivestirono nella sacra gerarchia.
E ancora, tale passione, oggi scomparsa, dovette essere assai vicina alla passio S. Pauli et sociorum (BHL, II, p. 955, it 6584), la stessa cioè da cui il Geronimiano trasse l'elogio del 9 febbraio sui XXXVII martiri d'Alessandria.
Infatti in ambedue i casi si tratta di una serie numerosa di martiri alessandrini, divisi in vari gruppi e condannati a pene diverse.
Ma soprattutto, dei ventisei nomi della lista del 14 febbraio ben diciannove ritornano, identici o sotto forme vicinissime, nella predetta passio (=P.) Bassianus (P.: Bastanus), Thonion (P.: Thonius), Protus, due volte (P.: Protea), Lucius (Martyr. Hieron., 9 febbraio: Lusus), Agathon, Dionisius, tre volte, Ammunius, due volte (P.: Ammon), Armata (P.: Sarmata), Arbasius (P.: Horpresius; Martyr. Hieron., 9 febbraio: Horpasus e Arbasus), Orus (P.: Horus), Paulus, Plesius, Passamonas (P.: Bastammon), Hippus (P.: Hippea). Si potrebbe anche ravvisare in Cirione una corruzione dell'Orione della passio, ed in Bassione una combinazione del prefisso Bas e Jonas (come la passio ha per il medesimo personaggio i nomi di Ammone e di Basammone).
Se dovessimo ammettere una qualche dipendenza tra i due documenti, l'uno perduto per i santi del 14 febbraio e l'altro tuttora e
sistente per quelli del 9 febbraio, propenderei a pensare quello più antico di questo, per la troppo evidente artificiosità che guida il racconto della passio.
(Autore: Giovanni Lucchesi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Bassiano, Tonione, Proto, Lucio, Cirione, Agatone, Mosè, Dionigi e Ammonio, pregate per noi.

*San Cirillo - Monaco, Apostolo degli Slavi (14 Febbraio)
Tessalonica (attuale Salonicco), Grecia, inizio sec. IX - Roma, 14 febbraio 869
Cirillo e Metodio, fratelli nel sangue e nella fede, nati a Tessalonica (attuale Salonicco, Grecia) all’inizio del sec. IX, evangelizzarono i popoli della Pannonia e della Moravia.
Crearono l’alfabeto slavo e tradussero in questa lingua la Scrittura e anche i testi della liturgia latina, per aprire ai nuovi popoli i tesori della parola di Dio e dei Sacramenti.
Per questa missione apostolica sostennero prove e sofferenze di ogni genere. Papa Adriano II accreditò la loro opera, confermando la lingua slava per il servizio liturgico. Cirillo morì a Roma il 14 febbraio 869.
Giovanni Paolo II con la lettera apostolica "Egregiae virtutis" del 31 dicembre 1980 li ha proclamati, insieme a San Benedetto abate, patroni d'Europa. (Mess. Rom.)

Patronato: Europa, Ecumenisti
Etimologia: Cirillo = che ha forza, signore, dal greco
Martirologio Romano: Memoria dei Santi Cirillo, monaco, e Metodio, vescovo. Questi due fratelli di Salonicco, mandati in Moravia dal vescovo di Costantinopoli Fozio, vi predicarono la fede cristiana e crearono un alfabeto per tradurre i libri sacri dal greco in lingua slava. Venuti a Roma, Cirillo, il cui nome prima era Costantino, colpito da malattia, si fece monaco e in questo giorno si addormentò nel Signore.
Metodio, invece, ordinato da papa Adriano II vescovo di Srijem, nell’odierna Croazia, evangelizzò la Pannonia senza lesinare fatiche, dovendo sopportare molti dissidi rivolti contro di lui, ma venendo sempre sostenuto dai Romani Pontefici; a Staré Mešto in Moravia, il 6 aprile, ricevette il compenso delle sue fatiche.

Santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa
Non pochi sono i casi di frateli venerati come Santi dalla Chiesa, fra i quali vogliamo ricordare in particolare i patriarchi Mosè ed Aronne, gli apostoli Pietro ed Andrea, i martiri Cosma e Damiano, i protomartiri russi Boris e Gleb, Sant’Annibale Maria ed il Servo di Dio Francesco Maria Di Francia, San Paolo della Croce ed il Venerabile Giovanni Battista Danei, i Beati Giovanni Maria e Luigi Boccardo, i Venerabili Antonio e Marco Cavanis, i Servi di Dio Flavio e Gedeone Corrà.
Papa Giovanni Paolo II, il 31 dicembre 1980 con la lettera apostolica "Egregiae virtutis" volle porre due fratelli, Cirillo e Metodio, quali patroni d’Europa insieme con San Benedetto, in quanti evangelizzatori dei popoli slavi e dunque della parte orientale del vecchio continente.
Trattasi di due santi mai canonizzati dai papi, dei quali soltanto nel 1880 il pontefice Leone XIII aveva esteso il culto alla Chiesa universale.
Originari di Tessalonica, città greca a quel tempo facente parte dell'Impero Bizantino, Cirillo e Metodio evangelizzarono in particolar modo la Pannonia e la Moravia nel IX secolo.
Poco notizie ci sono state però tramandate circa Cirillo e suo fratello Metodio.
Sappiamo che Cirillo in realtà si chiamava Costantino ed adottò in seguito il nome Cirillo come monaco, verso il termine della sua vita.
Ulteriori informazioni circa le loro attività sono pervenute sino a noi grazie a due “Vitæ”, redatte in paleoslavo, nota anche come “Leggende Pannoniche”.
Si conservano inoltre le lettere che l’allora pontefice indirizzò a Metodio e la “Leggenda italica”, scritta in latino.
Quest’ultima narra che a Velletri il vescovo Gauderico, devoto del papa San Clemente, le cui reliquie traslate in Italia proprio da Cirillo, volle redarre un resoconto sulla vita di quest'ultimo.
A causa della innegabile scarsità di fonti storicamente attendibili, sono fiorite numerose leggende attorno alle figure di Cirillo e Metodio.
Nativi di Salonicco (in slavo Solun), rampolli di una nobile famiglia greca, loro padre Leone era drungario della città, posizione che gli conseguiva un elevato status sociale.
Secondo la “Vita Cyrilli”, quest’ultimo era il più giovane di sette fratelli e già in tenera età pare avesse espresso il desiderio di dedicarsi interamente al perseguimento della sapienza.
In giovane età si trasferì a Costantinopoli, ove intraprese gli studi teologici e filosofici. La tradizione vuole che tra i suoi precettori vi fu il celebre patriarca Fozio ed Anastasio Bibliotecario riferisce dell'amicizia che intercorreva fra i due, così come di una disputa dottrinaria verificatasi tra loro.
La curiosità tipica di Cirillo dimostrava il suo eclettismo: egli coltivò infatti nozioni di astronomia, geometria, retorica e musica, ma fu nel campo della linguistica che poté dar prova del suo genio.
Oltre al greco, Cirillo parlava infatti correntemente anche il latino, l'arabo e l'ebraico.
Da Costantinopoli, l'imperatore inviò i due fratelli in varie missioni, anche presso gli Arabi: fu durante la missione presso i Càsari che Cirillo rinvenne le reliquie del Papa San Clemente, un Vangelo ed un salterio scritti in lettere russe, come narra la “Vita Methodii”.
La missione più importante che venne affidata a Cirillo e Metodio fu quella presso le popolazioni slave della Pannonia e della Moravia.
Il sovrano di Moravia, Rostislav, poi morto martire e venerato come santo, chiese all'imperatore bizantino di inviare missionari nelle sue terre, celando dietro motivazioni religiose anche il fattore politico della preoccupante presenza tedesca nel suo regno.
Cirillo accettò volentieri l’invito e, giunto nella sua nuova terra di missione, incominciò a tradurre brani del Vangelo di Giovanni inventando un nuovo alfabeto, detto glagolitico (da “глаголь” che significa “parola”), oggi meglio noto come alfabeto cirillico.
Probabilmente già da tempo si era cimentato nell’elaborazione di un alfabeto per la lingua slava. Non tardarono però a manifestarsi contrasti con il clero tedesco, primo evangelizzatore di quelle terre.
Nel 867 Cirillo e Metodio si recarono a Roma per far ordinare sacerdoti i loro discepoli, ma forse la loro visita fu dettata da un’esplicita convocazione da parte del Papa Adriano II insospettito dall’amicizia tra Cirillo e l’eretico Fozio.
Ad ogni modo il pontefice riservò loro un'accoglienza positiva, ordinò prete Metodio ed approvò le loro traduzioni della Bibbia e dei testi liturgici in lingua slava. Inoltre Cirillo gli fece dono delle reliquie di San Clemente, da lui ritrovate in Crimea.
Durante la permanenza nella Città Eterna, Cirillo si ammalò e morì: era il 14 febbraio 869. Venne sepolto proprio presso la basilica di San Clemente.
Metodio ritornò poi in Moravia, ma durante un successivo viaggio a Roma venne consacrato vescovo ed assegnato alla sede di Sirmiun (odierna Sremska Mitroviča).
Quando in Moravia a Rostislav successe il nipote Sventopelk, favorevole alla presenza tedesca nel regno, iniziò così la persecuzione dei discepoli di Cirillo e Metodio, visti come portatori di un'eresia.
Lo stesso Metodio fu detenuto per due anni in Baviera ed infine morì presso Velehrad, nel sud della Moravia, il 6 aprile 885.
I suoi discepoli vennero incarcerati o venduti come schiavi a Venezia.
Una parte di essi riuscì a fuggire nei Balcani e non a caso in Bulgaria si venerano come Sette Apostoli della nazione proprio Cirillo, Metodio ed i loro discepoli Clemente, Nahum, Saba, Gorazd ed Angelario, comunemente festeggiati al 27 luglio.
Il Martyrologium Romanum ed il calendario liturgico dedicano invece ai fratelli Cirillo e Metodio la festa del 14 febbraio, nell’anniversario della morte del primo.
Se l’immane opera dei due fratelli di Tessalonica fu cancellata in Moravia, come detto trovò fortuna e proseguimento in terra bulgara, anche grazie al favore del sovrano San Boris Michele I, considerato “isapostolo”, che abbracciò il cristianesimo e ne fece la religione nazionale.
La vastissima attività dei discepoli di Cirillo e Metodio in questo paese diede origine alla letteratura bulgara, ponendo così le basi della cultura scritta dei nuovi grandi stati russi.
Il cirillico avvicinò moltissimo i bulgari e tutti i popoli slavi al mondo greco-bizantino: questo alfabeto si componeva di trentotto lettere, delle quali ben ventiquattro prese dall’alfabeto greco, mentre le altre appositamente ideate per la fonetica slava.
Ciò comportò una grande facilità nel trapiantare in slavo l’enorme tradizione letteraria greca.
La nuova lingua soppiantò ovunque il glagolitico e rese celebre sino ai giorni nostri il nome del suo ideatore.

Dalla “vita” in lingua slava di Costantino
Costantino Cirillo, stanco dalle molte fatiche, cadde malato e sopportò il proprio male per molti giorni. Fu allora ricreato da una visione di Dio, e cominciò a cantare così: Quando mi dissero: «andremo alla casa del Signore», il mio spirito si è rallegrato e il mio cuore ha esultato (cfr. Sal 121, 1). Dopo aver indossato le sacre vesti, rimase per tutto il giorno ricolmo di gioia e diceva: «Da questo momento non sono più servo né dell'imperatore né di alcun uomo sulla terra, ma solo di Dio onnipotente.
Non esistevo, ma ora esisto ed esisterò in eterno. Amen».
Il giorno dopo vestì il santo abito monastico e aggiungendo luce a luce si impose il nome di Cirillo.
Così vestito rimase cinquanta giorni.
Giunta l'ora della fine e di passare al riposo eterno, levate le mani a Dio, pregava tra le lacrime, dicendo: «Signore, Dio mio, che hai creato tutti gli ordini angelici e gli spiriti incorporei, che hai steso i cieli e resa ferma la terra e hai formato dal nulla tutte le cose che esistono, tu che ascolti sempre coloro che fanno la tua volontà e ti temono e osservano i tuoi precetti; ascolta la mia preghiera e conserva nella fede il tuo gregge, a capo del quale mettesti me, tuo servo indegno ed inetto.
Liberali dalla malizia empia e pagana di quelli che ti bestemmiano; fa' crescere di numero la tua Chiesa e raccogli tutti nell'unità.
Rendi santo, concorde nella vera fede e nella retta confessione il tuo popolo, e ispira nei cuori la parola della tua dottrina.
É tuo dono infatti l'averci scelti a predicare il Vangelo del tuo Cristo, a incitare i fratelli alle buone opere e a compiere quanto ti è gradito.
Quelli che mi hai dato, te li restituisco come tuoi; guidali ora con la tua forte destra, proteggili all'ombra delle tue ali, perché tutti lodino e glorifichino il tuo nome di Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen».
Avendo poi baciato tutti col bacio santo, disse: «Benedetto Dio, che non ci ha dato in pasto ai denti dei nostri invisibili avversari, ma spezzò la loro rete e ci ha salvati dalla loro voglia di mandarci in rovina».
E così, all'età di quarantadue anni, si addormentò nel Signore.
Il Papa comandò che tutti i Greci che erano a Roma e i Romani si riunissero portando ceri e cantando e che gli dedicassero onori funebri non diversi da quelli che avrebbero tributato al Papa stesso; e così fu fatto.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Cirillo, pregate per noi.

*Santi Cirillo e Metodio - Apostoli degli Slavi, Patroni d'Europa (14 Febbraio)

sec. IX
Cirillo e Metodio, fratelli nel sangue e nella fede, nati a Tessalonica (attuale Salonicco, Grecia) all’inizio del sec. IX, evangelizzarono i popoli della Pannonia e della Moravia.
Crearono l’alfabeto slavo e tradussero in questa lingua la Scrittura e anche i testi della liturgia latina, per aprire ai nuovi popoli i tesori della parola di Dio e dei Sacramenti.
Per questa missione apostolica sostennero prove e sofferenze di ogni genere.
Papa Adriano II accreditò la loro opera, confermando la lingua slava per il servizio liturgico.
Cirillo morì a Roma il 14 febbraio 869.
Giovanni Paolo II con la lettera apostolica "Egregiae virtutis" del 31 dicembre 1980 li ha proclamati, insieme a San Benedetto abate, patroni d'Europa. (Mess. Rom.)

Patronato: Europa
Martirologio Romano: Memoria dei Santi Cirillo, monaco, e Metodio, vescovo.
Questi due fratelli di Salonicco, mandati in Moravia dal vescovo di Costantinopoli Fozio, vi predicarono la fede cristiana e crearono un alfabeto per tradurre i libri sacri dal greco in lingua slava.
Venuti a Roma, Cirillo, il cui nome prima era Costantino, colpito da malattia, si fece monaco e in questo giorno si addormentò nel Signore.
Metodio, invece, ordinato da Papa Adriano II vescovo di Srijem, nell’odierna Croazia, evangelizzò la Pannonia senza lesinare fatiche, dovendo sopportare molti dissidi rivolti contro di lui, ma venendo sempre sostenuto dai Romani Pontefici; a Staré Mešto in Moravia, il 6 aprile, ricevette il compenso delle sue fatiche.

Santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa
Non pochi sono i casi di frateli venerati come Santi dalla Chiesa, fra i quali vogliamo ricordare in particolare i patriarchi Mosè ed Aronne, gli apostoli Pietro ed Andrea, i martiri Cosma e Damiano, i protomartiri russi Boris e Gleb, Sant’Annibale Maria ed il Servo di Dio Francesco Maria Di Francia, San Paolo della Croce ed il Venerabile Giovanni Battista Danei, i Beati Giovanni Maria e Luigi Boccardo, i Venerabili Antonio e Marco Cavanis, i Servi di Dio Flavio e Gedeone Corrà.
Papa Giovanni Paolo II, il 31 dicembre 1980 con la lettera apostolica "Egregiae virtutis" volle porre due fratelli, Cirillo e Metodio, quali patroni d’Europa insieme con San Benedetto, in quanti evangelizzatori dei popoli slavi e dunque della parte orientale del vecchio continente.
Trattasi di due santi mai canonizzati dai papi, dei quali soltanto nel 1880 il pontefice Leone XIII aveva esteso il culto alla Chiesa universale.
Originari di Tessalonica, città greca a quel tempo facente parte dell'Impero Bizantino, Cirillo e Metodio evangelizzarono in particolar modo la Pannonia e la Moravia nel IX secolo.
Poco notizie ci sono state però tramandate circa Cirillo e suo fratello Metodio.
Sappiamo che Cirillo in realtà si chiamava Costantino ed adottò in seguito il nome Cirillo come monaco, verso il termine della sua vita.
Ulteriori informazioni circa le loro attività sono pervenute sino a noi grazie a due “Vitæ”, redatte in paleoslavo, nota anche come “Leggende Pannoniche”.
Si conservano inoltre le lettere che l’allora pontefice indirizzò a Metodio e la “Leggenda italica”, scritta in latino.
Quest’ultima narra che a Velletri il vescovo Gauderico, devoto del papa San Clemente, le cui reliquie traslate in Italia proprio da Cirillo, volle redarre un resoconto sulla vita di quest'ultimo.
A causa della innegabile scarsità di fonti storicamente attendibili, sono fiorite numerose leggende attorno alle figure di Cirillo e Metodio.
Nativi di Salonicco (in slavo Solun), rampolli di una nobile famiglia greca, loro padre Leone era drungario della città, posizione che gli conseguiva un elevato status sociale.
Secondo la “Vita Cyrilli”, quest’ultimo era il più giovane di sette fratelli e già in tenera età pare avesse espresso il desiderio di dedicarsi interamente al perseguimento della sapienza.
In giovane età si trasferì a Costantinopoli, ove intraprese gli studi teologici e filosofici. La tradizione vuole che tra i suoi precettori vi fu il celebre patriarca Fozio ed Anastasio Bibliotecario riferisce dell'amicizia che intercorreva fra i due, così come di una disputa dottrinaria verificatasi tra loro.
La curiosità tipica di Cirillo dimostrava il suo eclettismo: egli coltivò infatti nozioni di astronomia, geometria, retorica e musica, ma fu nel campo della linguistica che poté dar prova del suo genio.
Oltre al greco, Cirillo parlava infatti correntemente anche il latino, l'arabo e l'ebraico.
Da Costantinopoli, l'imperatore inviò i due fratelli in varie missioni, anche presso gli Arabi: fu durante la missione presso i Càsari che Cirillo rinvenne le reliquie del Papa San Clemente, un Vangelo ed un salterio scritti in lettere russe, come narra la “Vita Methodii”.
La missione più importante che venne affidata a Cirillo e Metodio fu quella presso le popolazioni slave della Pannonia e della Moravia.
Il sovrano di Moravia, Rostislav, poi morto martire e venerato come santo, chiese all'imperatore bizantino di inviare missionari nelle sue terre, celando dietro motivazioni religiose anche il fattore politico della preoccupante presenza tedesca nel suo regno.
Cirillo accettò volentieri l’invito e, giunto nella sua nuova terra di missione, incominciò a tradurre brani del Vangelo di Giovanni inventando un nuovo alfabeto, detto glagolitico (da “глаголь” che significa “parola”), oggi meglio noto come alfabeto cirillico.
Probabilmente già da tempo si era cimentato nell’elaborazione di un alfabeto per la lingua slava. Non tardarono però a manifestarsi contrasti con il clero tedesco, primo evangelizzatore di quelle terre.
Nel 867 Cirillo e Metodio si recarono a Roma per far ordinare sacerdoti i loro discepoli, ma forse la loro visita fu dettata da un’esplicita convocazione da parte del Papa Adriano II insospettito dall’amicizia tra Cirillo e l’eretico Fozio.
Ad ogni modo il pontefice riservò loro un'accoglienza positiva, ordinò prete Metodio ed approvò le loro traduzioni della Bibbia e dei testi liturgici in lingua slava. Inoltre Cirillo gli fece dono delle reliquie di San Clemente, da lui ritrovate in Crimea.
Durante la permanenza nella Città Eterna, Cirillo si ammalò e morì: era il 14 febbraio 869. Venne sepolto proprio presso la basilica di San Clemente.
Metodio ritornò poi in Moravia, ma durante un successivo viaggio a Roma venne consacrato vescovo ed assegnato alla sede di Sirmiun (odierna Sremska Mitroviča).
Quando in Moravia a Rostislav successe il nipote Sventopelk, favorevole alla presenza tedesca nel regno, iniziò così la persecuzione dei discepoli di Cirillo e Metodio, visti come portatori di un'eresia.
Lo stesso Metodio fu detenuto per due anni in Baviera ed infine morì presso Velehrad, nel sud della Moravia, il 6 aprile 885.
I suoi discepoli vennero incarcerati o venduti come schiavi a Venezia.
Una parte di essi riuscì a fuggire nei Balcani e non a caso in Bulgaria si venerano come Sette Apostoli della nazione proprio Cirillo, Metodio ed i loro discepoli Clemente, Nahum, Saba, Gorazd ed Angelario, comunemente festeggiati al 27 luglio.
Il Martyrologium Romanum ed il calendario liturgico dedicano invece ai fratelli Cirillo e Metodio la festa del 14 febbraio, nell’anniversario della morte del primo.
Se l’immane opera dei due fratelli di Tessalonica fu cancellata in Moravia, come detto trovò fortuna e proseguimento in terra bulgara, anche grazie al favore del sovrano San Boris Michele I, considerato “isapostolo”, che abbracciò il cristianesimo e ne fece la religione nazionale.
La vastissima attività dei discepoli di Cirillo e Metodio in questo paese diede origine alla letteratura bulgara, ponendo così le basi della cultura scritta dei nuovi grandi stati russi.
Il cirillico avvicinò moltissimo i bulgari e tutti i popoli slavi al mondo greco-bizantino: questo alfabeto si componeva di trentotto lettere, delle quali ben ventiquattro prese dall’alfabeto greco, mentre le altre appositamente ideate per la fonetica slava.
Ciò comportò una grande facilità nel trapiantare in slavo l’enorme tradizione letteraria greca.
La nuova lingua soppiantò ovunque il glagolitico e rese celebre sino ai giorni nostri il nome del suo ideatore.

Dalla “vita” in lingua slava di Costantino
Costantino Cirillo, stanco dalle molte fatiche, cadde malato e sopportò il proprio male per molti giorni. Fu allora ricreato da una visione di Dio, e cominciò a cantare così: Quando mi dissero: «andremo alla casa del Signore», il mio spirito si è rallegrato e il mio cuore ha esultato (cfr. Sal 121, 1).
Dopo aver indossato le sacre vesti, rimase per tutto il giorno ricolmo di gioia e diceva: «Da questo momento non sono più servo né dell'imperatore né di alcun uomo sulla terra, ma solo di Dio onnipotente.
Non esistevo, ma ora esisto ed esisterò in eterno. Amen».
Il giorno dopo vestì il santo abito monastico e aggiungendo luce a luce si impose il nome di Cirillo.
Così vestito rimase cinquanta giorni.
Giunta l'ora della fine e di passare al riposo eterno, levate le mani a Dio, pregava tra le lacrime, dicendo: «Signore, Dio mio, che hai creato tutti gli ordini angelici e gli spiriti incorporei, che hai steso i cieli e resa ferma la terra e hai formato dal nulla tutte le cose che esistono, tu che ascolti sempre coloro che fanno la tua volontà e ti temono e osservano i tuoi precetti; ascolta la mia preghiera e conserva nella fede il tuo gregge, a capo del quale mettesti me, tuo servo indegno ed inetto.
Liberali dalla malizia empia e pagana di quelli che ti bestemmiano; fa' crescere di numero la tua Chiesa e raccogli tutti nell'unità.
Rendi santo, concorde nella vera fede e nella retta confessione il tuo popolo, e ispira nei cuori la parola della tua dottrina.
É tuo dono infatti l'averci scelti a predicare il Vangelo del tuo Cristo, a incitare i fratelli alle buone opere e a compiere quanto ti è gradito.
Quelli che mi hai dato, te li restituisco come tuoi; guidali ora con la tua forte destra, proteggili all'ombra delle tue ali, perché tutti lodino e glorifichino il tuo nome di Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen».
Avendo poi baciato tutti col bacio santo, disse: «Benedetto Dio, che non ci ha dato in pasto ai denti dei nostri invisibili avversari, ma spezzò la loro rete e ci ha salvati dalla loro voglia di mandarci in rovina».
E così, all'età di quarantadue anni, si addormentò nel Signore.
Il Papa comandò che tutti i Greci che erano a Roma e i Romani si riunissero portando ceri e cantando e che gli dedicassero onori funebri non diversi da quelli che avrebbero tributato al Papa stesso; e così fu fatto.

Inno (dalla Liturgia delle Ore)
Risuoni nella Chiesa
da oriente ad occidente
l'ecumenica lode

di Cirillo e Metodio.
Maestri di Sapienza
e padri nella fede
splendono come fiaccole
sul cammino dei popoli.
Con la potenza inerme
della croce di Cristo
raccolsero le genti
nella luce del Regno.
Nella preghiera unanime
delle lingue diverse
si rinnovò il prodigio
della Chiesa nascente.
O Dio trino e unico,
a te l'incenso e il canto,
l'onore e la vittoria,
a te l'eterna gloria. Amen.

Orazione
O Dio, ricco di misericordia, che nella missione apostolica dei santi fratelli Cirillo e Metodio hai donato ai popoli slavi la luce del Vangelo, per la loro comune intercessione fa' che tutti gli uomini accolgano la tua parola e formino il tuo popolo santo concorde nel testimoniare la vera fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Cirillo e Metodio, pregate per noi.

*Sant'Eleucadio di Ravenna – Vescovo (14 Febbraio)

Martirologio Romano: A Ravenna, Sant’Eleucadio, vescovo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eleucadio di Ravenna, pregate per noi.

*Santa Fortunata – Martire (14 Febbraio)

Palestrina (Roma), 182 circa - Roma, ottobre 200 d. C.
Patronato:
Baucina (PA)
La venerazione per la vergine e martire santa Fortunata a Baucina, centro agricolo della provincia palermitana, risale al 29 gennaio 1790, quando il card. Saverio Cristiani, assistente al Soglio Pontificio, inviava le sacre reliquie contenute in una cassetta di legno, agli abitanti del paese di Baucina.
Siamo senz’altro in un periodo storico dove molte reliquie di martiri conservate nelle catacombe romane, i cosiddetti ‘corpi santi’, furono prelevate e inviate in dono e per devozione, un po’ dappertutto in Europa.
Molti ecclesiastici e dignitari pontifici si facevano promotori di questi trasferimenti presso le loro zone d’origine o di possedimento, dando così inizio a devozioni locali molto forti verso il martire delle reliquie; in alcuni casi la storia personale del santo martire, perlopiù inesistente o non provata, veniva compilata da sacerdoti scrittori, a volte con molta fantasia, a volte facendo diventare il santo martire originario del luogo.
Per quanto riguarda santa Fortunata essa non compare nell’odierno ‘Martyrologium Romanum’, ma evidentemente il suo nome era riportato in edizioni precedenti; della sua storia si sa che fu una
giovane fanciulla convertita al cristianesimo, vissuta a Palestrina, vicino Roma, intorno al 200 d.C.
La giovane Fortunata fu catturata dalle milizie romane mentre si recava a Roma, dove fu torturata, subendo poi il martirio nel mese di ottobre del 200 d.C.
Il suo corpo con una garza imbevuta del suo sangue, venne ricomposto nelle Catacombe di S. Ciriaca a Roma, dove rimase con ogni probabilità fino al gennaio 1790.
Le reliquie di San Fortunata prelevate dal Cimitero di S. Lorenzo al Verano, allora Catacombe di S. Ciriaca, furono consegnate tramite il già citato cardinale Cristiani, il 14 febbraio 1790 al parroco di Baucina con Bolla pontificia di Papa Pio VI.
Bisogna dire che detto parroco aveva fatto richiesta che fossero traslate le reliquie della Santa martire presso la comunità di Baucina, in quanto aveva raccolto il racconto di un identico sogno fatto da suor Maria Celafani, madre superiora del Collegio di Maria di Baucina e da don Alfio Caruso, confessore dello stesso Collegio.
In ambedue i sogni Santa Fortunata in sembianze di fanciulla, chiedeva di essere trasportata in Sicilia e lì venerata; le ricerche fatte effettuare dalla madre superiora, permisero di individuare nelle reliquie di Santa Fortunata, il corpo della fanciulla dei sogni.
E infatti il favore della santa verso la popolazione di Baucina, si rivelò sin dal primo giorno dell’arrivo delle reliquie con un primo miracolo, seguito nel tempo da tanti altri prodigi e i numerosi ex voto lo testimoniano.
Verso il 1840 le reliquie vennero ricomposte nel corpo che attualmente si può vedere e venerare nell’artistica urna, conservata nella Chiesa di Maria SS. del Lume al Collegio di Maria in Baucina e fondata nel 1728-1737.
Aumentando sempre più la devozione dei fedeli di Baucina, San Fortunata venne proclamata il 9 aprile 1870 compatrona del paese, insieme al patrono principale San Marco.
La sua festa liturgica è fissata al 14 febbraio, giorno dell’arrivo delle reliquie a Baucina; mentre la festa patronale si svolge la seconda domenica di settembre.
La festa patronale e la diffusione del culto della santa è affidata alla Confraternita di S. Fortunata, eretta nel dicembre 1968; la festa come tante altre manifestazioni simili in Sicilia, si svolge con una processione in cui l’urna della santa viene posta su una preziosa, monumentale e tradizionale “Vara”, con il fercolo portato a spalla dai fedeli.
Il culto di San Fortunata, seguendo i flussi emigratori della gente del Sud Italia, è arrivato in Gran Bretagna, Toronto (Canada), Valencia (Venezuela), Galliate nel milanese.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Fortunata, pregate per noi.

*San Giovanni Battista della Concezione (14 Febbraio)
Ciuciad Real, Spagna, 10 luglio 1561 - Cordova, 14 febbraio 1613
Nasce ad Almodovar nel 1561, Giovanni Battista della Concezione a Almodovar (Ciuda Real-Spagna).
All'età di quindici anni ha la grande sorte di conoscere santa Teresa d'Avila.
E qui, a 19 anni veste l'abito dell'Ordine dei trinitari, fondato nel 1198 da San Giovanni de Matha.
Nel 1581 fa la professione religiosa. Viene ordinato sacerdote nel 1585.
Nel febbraio del 1596 entra nei recollati. Abbraccia così la regola primitiva dei trinitari, quella professata dai recollati.
Il 20 agosto 1599 ottiene l'approvazione canonica della Riforma dei trinitari, con il breve Ad Militantis Ecclesiae regimen di Papa Clemente VIII (1592-1605). Muore a Cordova il 14 febbraio 1613.
Il riformatore dell'ordine dei trinitari fu beatificato nel 1819.
Fu un uomo del suo tempo, figlio della riforma cattolica tridentina (1545-1563). (Avvenire)
Martirologio Romano: A Córdova in Spagna, San Giovanni Battista García della Concezione, sacerdote dell’Ordine della Santissima Trinità, che avviò il rinnovamento del suo Ordine, sostenendolo con grandissimo impegno tra gravi difficoltà e aspre tribolazioni.
S. Giovanni Battista della Concezione era nato il 10 luglio 1561 a Almodóvar del Campo (Ciuciad Real - Spagna): quinto di otto figli in una famiglia dedita ai lavori della campagna.
Sin dal primi anni sbocciano in Giovanni le virtù dei genitori: ospitalità, servizio al povero, devozione all’Eucarestia e alla Madonna, e un grande desiderio di imitare l’austerità dei Santi, ottimamente delineate nel Flos Sanctorum.
All’età di quindici anni ha la grande sorte di incontrare Santa Teresa d’Avila, la quale prende alloggio nella sua casa.
Dalla viva voce della Riformatrice del Carmelo, l’adolescente ascolta il vaticinio della sua futura missione, pur essa riformatrice.
Nel suo cammino intravede la chiamata alla consacrazione religiosa, ma pur ammirando i figli di santa Teresa, in modo inspiegabile non riesce ad indossare l’abito dei Carmelitani Scalzi.
Con loro studia letteratura e compie due corsi d’arte.
Prima in Baeza, poi a Toledo.
E qui, a 19 anni, veste l’abito dell’Ordine della SS. Trinità, fondato nel 1198 da San Giovanni di Matha.
Nel 1581 fa la professione religiosa.
Ordinato sacerdote nel 1585, si nota in lui il carisma della predicazione.
È un religioso osservante, benché secondo il tenore di vita relativamente facile che si conduce presso i Trinitari Calzati.
Nel febbraio 1596, dopo un episodio in cui legge la volontà di Dio, entra nei Recollati.
È la seconda conversione, così come avviene in Teresa d’Avila, entra nella comunità della Recollazione di Valdepeñas, dando così una svolta allo stile di religioso rilassato.
Abbraccia la Regola primitiva dei Trinitari, quella professata dai Recollati.
Inizia così il cammino di riforma all’interno dell’Ordine. La Riforma viene però ostacolata. Il Santo si rivolge a Roma per ottenere l’approvazione pontificia.
Il 20 agosto 1599 ottiene l’approvazione canonica della Riforma trinitaria, con il Breve Ad militantis Ecclesiae regimen di Papa Clemente VIII (1592-1605).
Morì a Cordova il 14 febbraio 1613.
Il Riformatore dell’Ordine dei Trinitari fu beatificato nel 1819.
La sua memoria liturgica è fissata nel giorno che ricorda la sua morte.
Figlio del suo tempo, la Riforma tridentina, Giovanni Battista della Concezione, un credente come noi, ci insegna la via del vero rinnovamento personale e comunitario: l’amore disinteressato e magnanimo; soltanto chi ama, rinnova.

(Autore: Don Marco Grenci – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni Battista della Concezione, pregate per noi.

*San Metodio - Vescovo, Apostolo degli Slavi (14 Febbraio)

Tessalonica (attuale Salonicco), Grecia, inizio sec. IX - Velehrad, Moravia, 6 aprile 885
Cirillo e Metodio, fratelli nel sangue e nella fede, nati a Tessalonica (attuale Salonicco, Grecia) all’inizio del sec. IX, evangelizzarono i popoli della Pannonia e della Moravia.
Crearono l’alfabeto slavo e tradussero in questa lingua la Scrittura e anche i testi della liturgia latina, per aprire ai nuovi popoli i tesori della parola di Dio e dei Sacramenti. Per questa missione apostolica sostennero prove e sofferenze di ogni genere.
Papa Adriano II accreditò la loro opera, confermando la lingua slava per il servizio liturgico. Metodio, consacrato vescovo di Sirmio (Jugoslavia) e nominato legato presso gli Slavi, morì a Velehrad (Cecoslovacchia) il 6 aprile 885. Giovanni Paolo II con la lettera apostolica "Egregiae virtutis" del 31 dicembre 1980 li ha proclamati, insieme a San Benedetto abate, patroni d'Europa. (Mess. Rom.)

Patronato: Europa, Ecumenisti
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Memoria dei Santi Cirillo, monaco, e Metodio, vescovo. Questi due fratelli di Salonicco, mandati in Moravia dal vescovo di Costantinopoli Fozio, vi predicarono la fede cristiana e crearono un alfabeto per tradurre i libri sacri dal greco in lingua slava.
Venuti a Roma, Cirillo, il cui nome prima era Costantino, colpito da malattia, si fece monaco e in questo giorno si addormentò nel Signore.
Metodio, invece, ordinato da papa Adriano II vescovo di Srijem, nell’odierna Croazia, evangelizzò la Pannonia senza lesinare fatiche, dovendo sopportare molti dissidi rivolti contro di lui, ma venendo sempre sostenuto dai Romani Pontefici; a Staré Mešto in Moravia, il 6 aprile, ricevette il compenso delle sue fatiche.
(6 aprile: A Staré Mešto in Moravia, nei confini dell’odierna Slovacchia, anniversario della morte di san Metodio, vescovo, la cui memoria si celebra insieme a quella del fratello San Cirillo il 14 febbraio).

Santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa
Non pochi sono i casi di frateli venerati come Santi dalla Chiesa, fra i quali vogliamo ricordare in particolare i patriarchi Mosè ed Aronne, gli apostoli Pietro ed Andrea, i martiri Cosma e Damiano, i protomartiri russi Boris e Gleb, Sant’Annibale Maria ed il Servo di Dio Francesco Maria Di Francia, San Paolo della Croce ed il Venerabile Giovanni Battista Danei, i Beati Giovanni Maria e Luigi Boccardo, i Venerabili Antonio e Marco Cavanis, i Servi di Dio Flavio e Gedeone Corrà.
Papa Giovanni Paolo II, il 31 dicembre 1980 con la lettera apostolica "Egregiae virtutis" volle porre due fratelli, Cirillo e Metodio, quali patroni d’Europa insieme con San Benedetto, in quanti evangelizzatori dei popoli slavi e dunque della parte orientale del vecchio continente.
Trattasi di due santi mai canonizzati dai papi, dei quali soltanto nel 1880 il pontefice Leone XIII aveva esteso il culto alla Chiesa universale.
Originari di Tessalonica, città greca a quel tempo facente parte dell'Impero Bizantino, Cirillo e Metodio evangelizzarono in particolar modo la Pannonia e la Moravia nel IX secolo.
Poco notizie ci sono state però tramandate circa Cirillo e suo fratello Metodio.
Sappiamo che Cirillo in realtà si chiamava Costantino ed adottò in seguito il nome Cirillo come monaco, verso il termine della sua vita.
Ulteriori informazioni circa le loro attività sono pervenute sino a noi grazie a due “Vitæ”, redatte in paleoslavo, nota anche come “Leggende Pannoniche”.
Si conservano inoltre le lettere che l’allora pontefice indirizzò a Metodio e la “Leggenda italica”, scritta in latino.
Quest’ultima narra che a Velletri il vescovo Gauderico, devoto del papa San Clemente, le cui reliquie traslate in Italia proprio da Cirillo, volle redarre un resoconto sulla vita di quest'ultimo.
A causa della innegabile scarsità di fonti storicamente attendibili, sono fiorite numerose leggende attorno alle figure di Cirillo e Metodio.
Nativi di Salonicco (in slavo Solun), rampolli di una nobile famiglia greca, loro padre Leone era drungario della città, posizione che gli conseguiva un elevato status sociale.
Secondo la “Vita Cyrilli”, quest’ultimo era il più giovane di sette fratelli e già in tenera età pare avesse espresso il desiderio di dedicarsi interamente al perseguimento della sapienza.
In giovane età si trasferì a Costantinopoli, ove intraprese gli studi teologici e filosofici. La tradizione vuole che tra i suoi precettori vi fu il celebre patriarca Fozio ed Anastasio Bibliotecario riferisce dell'amicizia che intercorreva fra i due, così come di una disputa dottrinaria verificatasi tra loro.
La curiosità tipica di Cirillo dimostrava il suo eclettismo: egli coltivò infatti nozioni di astronomia, geometria, retorica e musica, ma fu nel campo della linguistica che poté dar prova del suo genio.
Oltre al greco, Cirillo parlava infatti correntemente anche il latino, l'arabo e l'ebraico.
Da Costantinopoli, l'imperatore inviò i due fratelli in varie missioni, anche presso gli Arabi: fu durante la missione presso i Càsari che Cirillo rinvenne le reliquie del Papa San Clemente, un Vangelo ed un salterio scritti in lettere russe, come narra la “Vita Methodii”.
La missione più importante che venne affidata a Cirillo e Metodio fu quella presso le popolazioni slave della Pannonia e della Moravia.
Il sovrano di Moravia, Rostislav, poi morto martire e venerato come santo, chiese all'imperatore bizantino di inviare missionari nelle sue terre, celando dietro motivazioni religiose anche il fattore politico della preoccupante presenza tedesca nel suo regno.
Cirillo accettò volentieri l’invito e, giunto nella sua nuova terra di missione, incominciò a tradurre brani del Vangelo di Giovanni inventando un nuovo alfabeto, detto glagolitico (da “глаголь” che significa “parola”), oggi meglio noto come alfabeto cirillico.
Probabilmente già da tempo si era cimentato nell’elaborazione di un alfabeto per la lingua slava. Non tardarono però a manifestarsi contrasti con il clero tedesco, primo evangelizzatore di quelle terre.
Nel 867 Cirillo e Metodio si recarono a Roma per far ordinare sacerdoti i loro discepoli, ma forse la loro visita fu dettata da un’esplicita convocazione da parte del Papa Adriano II insospettito dall’amicizia tra Cirillo e l’eretico Fozio.
Ad ogni modo il pontefice riservò loro un'accoglienza positiva, ordinò prete Metodio ed approvò le loro traduzioni della Bibbia e dei testi liturgici in lingua slava. Inoltre Cirillo gli fece dono delle reliquie di San Clemente, da lui ritrovate in Crimea.
Durante la permanenza nella Città Eterna, Cirillo si ammalò e morì: era il 14 febbraio 869. Venne sepolto proprio presso la basilica di San Clemente.
Metodio ritornò poi in Moravia, ma durante un successivo viaggio a Roma venne consacrato vescovo ed assegnato alla sede di Sirmiun (odierna Sremska Mitroviča).
Quando in Moravia a Rostislav successe il nipote Sventopelk, favorevole alla presenza tedesca nel regno, iniziò così la persecuzione dei discepoli di Cirillo e Metodio, visti come portatori di un'eresia.
Lo stesso Metodio fu detenuto per due anni in Baviera ed infine morì presso Velehrad, nel sud della Moravia, il 6 aprile 885.
I suoi discepoli vennero incarcerati o venduti come schiavi a Venezia.
Una parte di essi riuscì a fuggire nei Balcani e non a caso in Bulgaria si venerano come Sette Apostoli della nazione proprio Cirillo, Metodio ed i loro discepoli Clemente, Nahum, Saba, Gorazd ed Angelario, comunemente festeggiati al 27 luglio.
Il Martyrologium Romanum ed il calendario liturgico dedicano invece ai fratelli Cirillo e Metodio la festa del 14 febbraio, nell’anniversario della morte del primo.
Se l’immane opera dei due fratelli di Tessalonica fu cancellata in Moravia, come detto trovò fortuna e proseguimento in terra bulgara, anche grazie al favore del sovrano San Boris Michele I, considerato “isapostolo”, che abbracciò il cristianesimo e ne fece la religione nazionale.
La vastissima attività dei discepoli di Cirillo e Metodio in questo paese diede origine alla letteratura bulgara, ponendo così le basi della cultura scritta dei nuovi grandi stati russi.
Il cirillico avvicinò moltissimo i bulgari e tutti i popoli slavi al mondo greco-bizantino: questo alfabeto si componeva di trentotto lettere, delle quali ben ventiquattro prese dall’alfabeto greco, mentre le altre appositamente ideate per la fonetica slava.
Ciò comportò una grande facilità nel trapiantare in slavo l’enorme tradizione letteraria greca.
La nuova lingua soppiantò ovunque il glagolitico e rese celebre sino ai giorni nostri il nome del suo ideatore.

Dalla “vita” in lingua slava di Costantino
Costantino Cirillo, stanco dalle molte fatiche, cadde malato e sopportò il proprio male per molti giorni. Fu allora ricreato da una visione di Dio, e cominciò a cantare così: Quando mi dissero: «andremo alla casa del Signore», il mio spirito si è rallegrato e il mio cuore ha esultato (cfr. Sal 121, 1).
Dopo aver indossato le sacre vesti, rimase per tutto il giorno ricolmo di gioia e diceva: «Da questo momento non sono più servo né dell'imperatore né di alcun uomo sulla terra, ma solo di Dio onnipotente.
Non esistevo, ma ora esisto ed esisterò in eterno. Amen».
Il giorno dopo vestì il santo abito monastico e aggiungendo luce a luce si impose il nome di Cirillo.
Così vestito rimase cinquanta giorni.
Giunta l'ora della fine e di passare al riposo eterno, levate le mani a Dio, pregava tra le lacrime, dicendo: «Signore, Dio mio, che hai creato tutti gli ordini angelici e gli spiriti incorporei, che hai steso i cieli e resa ferma la terra e hai formato dal nulla tutte le cose che esistono, tu che ascolti sempre coloro che fanno la tua volontà e ti temono e osservano i tuoi precetti; ascolta la mia preghiera e conserva nella fede il tuo gregge, a capo del quale mettesti me, tuo servo indegno ed inetto.
Liberali dalla malizia empia e pagana di quelli che ti bestemmiano; fa' crescere di numero la tua Chiesa e raccogli tutti nell'unità.
Rendi santo, concorde nella vera fede e nella retta confessione il tuo popolo, e ispira nei cuori la parola della tua dottrina.
É tuo dono infatti l'averci scelti a predicare il Vangelo del tuo Cristo, a incitare i fratelli alle buone opere e a compiere quanto ti è gradito.
Quelli che mi hai dato, te li restituisco come tuoi; guidali ora con la tua forte destra, proteggili all'ombra delle tue ali, perché tutti lodino e glorifichino il tuo nome di Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen».
Avendo poi baciato tutti col bacio santo, disse: «Benedetto Dio, che non ci ha dato in pasto ai denti dei nostri invisibili avversari, ma spezzò la loro rete e ci ha salvati dalla loro voglia di mandarci in rovina».
E così, all'età di quarantadue anni, si addormentò nel Signore.
Il Papa comandò che tutti i Greci che erano a Roma e i Romani si riunissero portando ceri e cantando e che gli dedicassero onori funebri non diversi da quelli che avrebbero tributato al Papa stesso; e così fu fatto.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Metodio, pregate per noi.

*Santi Modestino, Fiorentino e Flaviano - Martiri (14 Febbraio)
Patronato: Avellino
Emblema: Palma
San Modestino nacque ad Antiochia nel 245 da una nobile famiglia. Nel 302 fu consacrato vescovo della città e patriarca della regione di Antiochia.
Con la persecuzione di Diocleziano (anno 303), si ritirò in un eremo sul monte Silpio, nel 310 ritornò alla sua sede patriarcale.
Predicò il Vangelo di Cristo e compì numerosi miracoli e guarigioni.
Arrestato e torturato, fu liberato dalla prigione dai fedeli della sua diocesi.
Modestino con i collaboratori Fiorentino sacerdote e Flaviano diacono partirono per giungere in Italia.
Arrivarono via mare a Locri (in Calabria) ove predicarono il Vangelo, furono arrestati e portati in carcere a Sibari, secondo la tradizione furono liberati dall'Arcangelo Michele.
Per via mare raggiunsero Pozuoli o Cuma e da qui l'Irpinia, nei pressi di "Abellinum" ove predicarono gli insegnamenti di Cristo.
Modestino compì miracoli e guarigioni.
Qui furono arrestati, imprigionati e processati da un inviato dell'imperatore Massenzio, e portati nel luogo detto "Pretorio" ove subirono il martirio con vesti arroventate, morirono nella notte fra il 14 e
il 15 febbraio del 311.
I loro corpi furono raccolti dai cristiani abellinati e sepolti, sui corpi furono poggiate un insegna con i nomi e le dignità, inoltre a San Modestino fu poggiata, sul corpo, una scultura argentea raffigurante una colomba.
I loro corpi ritrovati nell'estate del 1166, furono portati nella cattedrale di Avellino, ove sono ancora oggi conservati nella "Cappella del Tesoro di San Modestino".
Nel 1220 furono nominati patroni primari della città e della diocesi di Avellino dal vescovo Ruggiero.

Alcune preghiere riguardanti San Modestino:
O glorioso San Modestino, tu che hai conosciuto fatiche e tormenti e sempre sei stato guidato dalla sacra Fiamma della Carità, volgi a noi lo sguardo e, per i tuoi grandi meriti, intercedi per chi ti chiede la grazia dell'amore.
Infiamma i nostri cuori d'amore verso il Padre, di carità verso il prossimo nostro, di serena pace per tutti, affinché ciascuno possa alfine godere con te la felicità della Luce eterna.Amen.

Pater, Ave e Gloria.
O nostro protettore San Modestino tu che mostrasti tanto amore per la nostra città, ti preghiamo di proteggerla da ogni sventura. Essa è affidata a te, e con essa, noi a te siamo tutti affidati.
Ti imploriamo in ginocchio proteggici, aiutaci, guidaci a superare le nostre difficoltà quotidiane, consigliaci, illuminaci affinché ciascuno possa vivere nella serenità della Grazia e alfine di approdare al porto dell'eterna salvezza. Amen.
Tre Gloria.
O gloriosi e invitti martiri della nostra fede, Modestino, Fiorentino e Flaviano, che, dopo aver sofferto per Gesù tanti tormenti e aver operato tanti miracoli veniste a rigenerare anche la nostra patria dall'idolatria al Cristianesimo, e, in essa lasciaste le preziose reliquie dei vostri corpi.
Otteneteci da Dio la grazia di resistere sempre, con coraggio ai nostri nemici spirituali, di giovare al nostro prossimo con l'esercizio delle opere di misericordia e, in morte, di lasciare anche alla patria l'esempio di bontà e di onore di virtù. Amen.
Pater, Ave e Gloria.
Quando sei stato vescovo tra noi hai portato alla fede cristiana molti uomini. Quell'insegnamento fu rafforzato col tuo sangue al punto che la fede sopravvisse a lungo.
Poi la città si rinnovò e si costruì con molti sacrifici una grande Chiesa e ritornasti per riempirla di gente. Dopo altri secoli il terremoto ha tolto la parola al centro antico, che è ancora deserto. Ti chiediamo, o San Modestino, di rendere vita alla tua città che tu proteggi, perché!= le vie risuonino di passi e di voci e nelle sue case dimori la pace e l'amore di Dio. Per tutto, per quello che ci hai dato e per quello che ci darai, ti diciamo grazie. Amen.
[Nota le prime tre preghiere sono state tradotte dal latino ed adattate da S. Orga]
Bibliografia:
A.A.V.V., San Modestino Vescovo e Martire, Avellino, Chiesa Cattedrale, pp. (4).
A.A.V.V., "Modestinus ep. et soc.", in Bibliotheca Hagiographica Latina (Bhl), Bruxelles 1899, II, pp.872-873.
A.A.V.V., "Modestino episcopo, Florentino presbytero, Flaviano diacono", in Acta S. S. Februarii, II, Venezia 1735, pp. 763-766, 900-901.
BELLABONA S., Ragguagli della città di Avellino, Napoli 1642, pp. 165 sgg. (125-130).
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ORGA G., Modestino, il nostro patrono, Avellino 1999, pp. 34
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ZIGARELLI G., Storia della cattedra di Avellino e dei suoi pastori, Napoli 1856, pp. 36-35.

(Autore: Stefano Orga – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Nostriano di Napoli – Vescovo (14 Febbraio)

Martirologio Romano: Commemorazione di San Nostriano, vescovo di Napoli.
È il quindicesimo nella lista episcopale di Giovanni diacono. Si distinse nel difendere il suo gregge dall'insidia dell'eresia serpeggiante alle porte di Napoli.
Nell'ottobre del 439, caduta Cartagine in mano ai Vandali di Genserico, una grandissima moltitudine di ecclesiastici - maxima turba clericorum, scrisse lo storico di quelle vicende, Vittore di Vita (Hist. persec. Afric. prov.) - fu costretta a lasciare la terra natale.
Spogliati di tutto, furono posti su imbarcazioni assai precarie, ma alcuni riuscirono a salvarsi miracolosamente e ad approdare sulla costa napoletana, accolti con premurosa sollecitudine dal vescovo Nostriano.
Tra i profughi furono i Ss. vescovi Gaudioso di Abitine e Quodvultdeus di Cartagine.
Quest'ultimo, dimorando in Napoli, smascherò la propaganda che del pelagianesimo faceva «non lontano da Napoli» Floro, imbevuto anche di manicheismo.
Quasi certamente Floro è lo stesso vescovo pelagiano, condannato nel concilio di Efeso (431) assieme a Celestio, Pelagio e Giuliano d'Eclano e che rivolse premure allo stesso Giuliano perché riprendesse la penna contro San Agostino per confutare il II libro del De Nuptiis et concupiscentia. Pare che si fosse stabilito a Miseno, giacché predicava e praticava cose illecite attribuendosi il merito e la virtù di San Sosso, un martire venerato appunto in quella cittadina flegrea.
Nel 1. V del De promissionibus et praedictionibus Dei, che si attribuisce ormai a Quodvultdeus, si narra che il vescovo di Napoli mandò il proprio «germano» - evidentemente magistrato della città - il
prete Herio ed altri chierici ad arrestare ed espellere il predicatore eretico. Nostriano si rese, inoltre, benemerito verso la propria città per un'opera di pubblica utilità: le terme ad uso del clero e dei fedeli, costruite nella regione augustale, nelle immediate adiacenze del Foro, nella via che documenti dei secc. X-XIII chiamano vicus Nostrianus e platea Nostriana, e altri, di epoca posteriore, S. Ianuarii ad diaconiam. In questa chiesa, detta pure di S. Gennaro all'Olmo, i suoi resti furono trasferiti dalla catacomba di S. Gaudioso, ove ebbero sepoltura almeno fino al sec. X.
Nostriano sarebbe morto tra il 452 e il 465, dopo diciassette anni di episcopato: tanti gliene attribuisce la Cronaca dei vescovi. Il 16 agosto 1612, venne in luce, sotto l'altare maggiore della chiesa di S. Gennaro all'Olmo, un'antica urna di marmo, sul cui bordo erano incise le parole: Corpus S. Nostriani Episcopi. Nel luglio, del 1945 l'urna fu trasferita e sistemata nella chiesa dei SS. Filippo e Giacomo.
Sconosciuto agli antichi calendari napoletani, Nostriano ebbe culto ufficiale dopo l'invenzione delle reliquie.
Il Calendario del Card. arcivescovo Decio Carafa, del 1619, ne fissava la festa al 16 agosto, ma nel 1633 il nome di Nostriano era già scomparso dal calendario diocesano.
La festa fu ripristinata al 14 febbraio per la sola diocesi di Napoli, con decreto della S. Congregazione dei Riti del 2 maggio 1878. In quest'ultima data Nostriano figura nel Martirologio Romano, iscrittovi in epoca recente.

(Autore: Domenico Ambrasi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Valentino di Roma – Prete e Martire (14 Febbraio)

Di lui parla nella voce omonima della "Bibliotheca sanctorum", vol. 12, Roma, 1969, coll. 896-897, padre Agostino Amore, il quale mette fortemente in dubbio, anzi esclude addirittura l’esistenza di questo santo. Le prime notizie su di lui le troviamo nella "passione di Mario e Marta" dove le lesse anche il monaco inglese Beda (673 c.-735): vi si racconta del prete Valentino, che aveva guarito dalla cecità la figlia di un giudice, di nome Asterio, poi fatto uccidere sulla via Flaminia ai tempi di Claudio il gotico (268-270). Ma già il nome di Asterio ci porterebbe ai tempi di papa Vigilio (VI secolo) probabile committente della stesura della Passione.
Sul luogo del martirio intanto era stata già costruita da papa Giulio I (337-352) una basilica, successivamente abbellita da Papa Teodoro (642-649). Valentino è ricordato anche nel Sacramentario Gregoriano.
Nonostante tutte queste notizie però il Valentino prete e martire romano nacque forse da un’errata interpretazione di una pagina del "Catalogo Liberiano" dove si legge appunto che papa Giulio I costruì al secondo miglio della via Flaminia una basilica quae appellatur Valentini (chiamata di Valentino) dove il Valentino nominato non era un martire, ma soltanto il benefattore che aveva offerto forse il terreno, oppure i mezzi economici necessari alla costruzione, benefattore che poi nei secoli successivi, come molti altri, venne venerato come "Santo".
Di questo Valentino prete e martire abbiamo anche diverse testimonianze iconografiche: da quella in S. Maria Antiqua, a Roma, databile al secolo VIII dove, accanto alla figura in abiti sacerdotali, compare il nome scritt
o in caratteri greci (Bαλεντινος); al medaglione musiv
o nella chiesa pure romana di Santa Prassede (secolo IX). E la devozione verso di lui era ben presto giunta anche lontano da Roma se nel 714 i vescovi di Siena ed Arezzo si incontrarono proprio presso la pieve di san Valentino di Torrita (SI) per determinare i confini delle loro diocesi. Nei secoli successivi tale devozione si allargò molto anche in diverse regioni dell’Italia settentrionale, ma spesso vi giunse attraverso "reliquie" estratte dalle catacombe romane tra il tardo Cinquecento e il Seicento, "reliquie" appartenute a personaggi cristiani ivi sepolti, che però erano soltanto degli omonimi del presunto martire del III secolo, martire che continua ad essere venerato anche a Roma, dove è titolare di una parrocchia al Villaggio Olimpico, sorto nel 1960 a poche centinaia di metri dall’antica basilica fatta costruire da Papa Giulio I.

(Autore: Emilio Lucci – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Valentino di Terni – Vescovo e Martire (14 Febbraio)

Patronato: Innamorati, Amanti
Etimologia: Valentino = che sta bene, sano, forte, robusto, dal latino
Emblema: Bastone pastorale, Palma
Martirologio Romano: A Roma sulla Via Flaminia presso il ponte Milvio, San Valentino, Martire.
La più antica notizia di San Valentino è in un documento ufficiale della Chiesa dei secc.V-VI dove compare il suo anniversario di morte. Ancora nel sec. VIII un altro documento ci narra alcuni particolari del martirio: la tortura, la decapitazione notturna, la sepoltura ad opera dei discepoli Proculo, Efebo e Apollonio, successivo martirio di questi e loro sepoltura.
Altri testi del sec. VI, raccontano che San Valentino, cittadino e vescovo di Terni dal 197, divenuto famoso per la santità della sua vita, per la carità ed umiltà, per lo zelante apostolato e per i miracoli che fece, venne invitato a Roma da un certo Cratone, oratore greco e latino, perché gli guarisse il figlio infermo da alcuni anni. Guarito il giovane, lo convertì al cristianesimo insieme alla famiglia ed ai greci studiosi di lettere latine Proculo, Efebo e Apollonio, insieme al figlio del Prefetto della città.
Imprigionato sotto l’Imperatore Aureliano fu decollato a Roma. Era il 14 febbraio 273. Il suo corpo fu trasportato a Terni al LXIII miglio della Via Flaminia. Fu tra i primi vescovi di Terni, consacrato da San Feliciano vescovo di Foligno nel 197. Preceduto da San Pellegrino e Sant’Antimo, fratello dei SS. Cosma e Damiano.

Il Culto
San Valentino fu sepolto in un’area cimiteriale nei pressi dell’attuale Basilica. É sicuro che quel cimitero già esisteva in età pagana. Da questa zona provengono alcuni reperti le più antiche risalgono ai secc. IV-V. Si tratta di titoli sepolcrali. Il pezzo più interessante è il sarcofago a “teste allineate” del sec. IV ora conservato in Palazzo Carrara. È il tradizionale sarcofago paleocristiano dove sono scolpite attorno alla figura del defunto orante, Scene della vita di Cristo. La prima basilica fu costruita nel sec. IV dato che la collocazione dell’edificio, fuori delle mura della città e in area cimiteriale e sopra la tomba del martire.
Distrutta dai Goti, insieme alla città nel sec. VI, sarebbe stata ricostruita nel sec. VII. A conferma di questa ultima costruzione fu il rinvenimento di una moneta di Eraclio del 641. Al periodo della prima costruzione o a quella della ricostruzione del sec. VII, dovrebbe risalire la cripta con l’altare ad arcosolio, cioè sotto una nicchia coperta da un arco e sopra la tomba del martire. Intorno al sec. VII la basilica fu affidata ai Benedettini. Nel 742 vi avvenne l’incontro storico tra il papa Zaccaria partito da Roma verso Terni e il vecchio re longobardo Liutprando. La scelta della Basilica di San Valentino fu fatta dal re perché all’interno di quella si veneravano le spoglie del glorioso martire alle quali egli attribuiva un valore taumaturgico. Da quell’incontro il re donava al pontefice alcune città italiane tra le quali Sutri.
Qui il pontefice ordinò il nuovo vescovo di Terni alla cui morte (760) la città rimase priva del pastore fino al 1218.
In questo periodo la basilica fu oggetto di scorrerie prima di Ungari poi Normanni e Saraceni poi degli abitanti di Narni che vantavano pretese su alcuni territori e sulla Basilica.
Onorio III nel 1219 vi si recò e consegnò la Basilica al clero locale. Da questo anno in poi non sappiamo più nulla dello stato di conservazione della Basilica. Agli inizi del 1600 doveva apparire fatiscente.

La Ricognizione
Nel 1605 il vescovo Giovanni Antonio Onorati, ottenuto il permesso da papa Paolo V, fece iniziare le ricerche del corpo del Santo. Erano partite da tempo anche a Roma le ricerche dei primi martiri della Chiesa e per autenticare la loro esistenza e per accrescerne la venerazione. Il corpo di San Valentino fu presto rinvenuto in una cassa di piombo contenuta entro un’urna di marmo rozza
esternamente ma all’interno intagliata con rilievi. La testa era separata dal busto a conferma della morte avvenuta per decapitazione.
Fu portata subito in Cattedrale. Nessuno in città voleva che il corpo del loro martire riposasse nella chiesa madre. Neanche la Congregazione dei Riti era favorevole poiché le reliquie dovevano essere venerate là dove erano state sepolte. Così si decise di ricostruire una nuova Basilica.

La nuova Basilica
I lavori per la costruzione della Basilica iniziarono nel 1606 e durarono alcuni anni ma già dal 1609 questa poté essere officiata dai PP.Carmelitani, chiamati a custodirla. Nel 1618 il corpo del Santo Vescovo e martire venne solennemente riportato nella sua Basilica. Nel 1625 l’Arciduca Leopoldo d’Austria, diretto a Roma, fece visita alla Basilica e si assunse la spese per la costruzione di un nuovo altare maggiore in marmo, completato nel 1632, impegnandosi a rendere alla Basilica una parte del cranio del Santo donata alcuni secoli prima ad un suo antenato.
Dietro all’altare maggiore è il coro con la “confessione” di San Valentino, un altare costruito sopra la tomba del martire. Al centro è una tela ovale che ricorda il martirio del santo, opera della fine del sec. XVII. L’episodio del Duca Leopoldo fornì l’occasione per un radicale rinnovamento dell’architettura del tempio, condotto a termine grazie anche all’opera di molti ternani. La Basilica si presenta secondo uno schema caro ai teorici della Controriforma: grande navata unica con attorno cappelle laterali, due grandi cappelle costituiscono il transetto, presbiterio e dietro l’altare del martire con la “confessione”.
La facciata del sec. XVII è animata da paraste, un grande portale sormontato da un finestrone. Le statue in stucco raffigurano in alto i santi patroni della città Valentino e Anastasio (+649) e sono state aggiunte nel sec. XIX. L’interno è animato da grandi paraste con capitelli in stile ionico con ghirlande. Queste sorreggono un architrave sporgente dentellato. Due cappelle per lato erano proprietà di alcune famiglie importanti della città. Le più interessanti sono le cappelle del transetto. Quella di destra è dedicata a S.Michele arcangelo ed era la cappella privata della famiglia Sciamanna. Ai lati infatti sono i monumenti funebri di alcuni membri tra i quali un certo Brunoro, vescovo di Caserta morto nel 1647.
Al centro è la bella pala con San Michele che sconfigge il demonio dell’artista romano Giuseppe Cesari detto il “Cavalier d’Arpino”. Esponente di una pittura colta e raffinata, docile alle richieste della Chiesa, che tornava a privilegiare chiarezza dell’espressione e il decoro nella rappresentazione delle figure sacre. Questa immagine è una chiara ripresa del classicismo di Raffaello: equilibrio della posa e fermezza dell’atteggiamento.
L’altra cappella è dedicata alla santa carmelitana Teresa d’Avila. La bella pala centrale raffigura la Madonna con il Bambino tra i SS. Giuseppe e Teresa dell’artista Lucas De La Haye, monaco carmelitano della seconda metà del sec. XVII. L’artista fu l’incarico principale della decorazione della basilica. Infatti oltre a questa lascia altri capolavori tra i quali la bella pala centrale con San Valentino chiede la protezione della Vergine su Terni e ancora una Adorazione dei pastori e una Adorazione dei Magi. Sempre per la basilica realizza le tele con i Quattro evangelisti e una serie con i Martiri ternani (Catulo, Saturnino, Lucio e magno discepoli di Valentino) conservati nella navata.
Il suo stile è pienamente barocco: figure ricoperte di sontuosi panneggi che si agitano al vento, intrisi di un colore caldo che fa pensare anche ad un’influenza sull’artista della pittura veneta forse filtrata dal Rubens romano. Al centro del coro è una grande tela raffigurante la Crocifissione dove traspaiono figure intrise di grande drammaticità. Un ultimo capolavoro si può ammirare in una delle cappelle della navata. Si tratta di una tela raffigurante la Madonna con il Bambino ed i SS. Lorenzo, Giovanni Battista e Bartolomeo del 1635, opera di Andrea Polinori, cittadino di Todi. L’ispirazione dell’artista è il Caravaggio ma è abile a regolarizzarlo e depurarlo di ogni aggressività.
L’ambiente della cripta presenta l’antico altare ad arcosolio (inserito in una nicchia voltata a botte sopra la tomba del martire) nel quale furono rinvenute le reliquie di San Valentino. Alcuni reperti dell’area valentiniana sono stati riuniti nell’ambiente accanto alla cripta.

La Leggenda
La festa del vescovo e martire Valentino si riallaccia agli antichi festeggiamenti di Greci, Italici e Romani che si tenevano il 15 febbraio in onore del dio Pane, Fauno e Luperco.
Questi festeggiamenti erano legati alla purificazione dei campi e ai riti di fecondità. Divenuti troppo orridi e licenziosi, furono proibiti da Augusto e poi soppressi da Gelasio nel 494. La Chiesa cristianizzò quel rito pagano della fecondità anticipandolo al giorno 14 di febbraio attribuendo al martire ternano la capacità di proteggere i fidanzati e gli innamorati indirizzati al matrimonio e ad un’unione allietata dai figli.
Da questa vicenda sorsero alcune leggende. Le più interessanti sono quelle che dicono il santo martire amante delle rose, fiori profumati che regalava alle coppie di fidanzati per augurare loro un’unione felice. Oggi la festa di San Valentino è celebrata ovunque come Santo dell’Amore. L’invito e la forza dell’amore che è racchiuso nel messaggio di San Valentino deve essere considerato anche da altre angolazioni, oltre che dall’ormai esclusivo significato del rapporto tra uomo e donna.
L’Amore è Dio stesso e caratterizza l’uomo, immagine di Dio. Nell’Amore risiede la solidarietà e la pace, l’unità della famiglia e dell’intera umanità.

Gli Eventi
A Terni è sorta la “Fondazione San Valentino”, che cura il culto del Santo durante l’intero mese di febbraio: vi sono programmate grandi iniziative di fede e di cultura, di arte e di scienza, di spettacolo e di divertimento.
Da quest'anno è nata inoltre l'Associazione "San Valentino Festival" promossa da Comune, Provincia, Camera di Commercio, Diocesi, Sviluppumbria e Consorzio Cometa per organizzare eventi valentiniani anche nel resto dell'anno.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Vincenzo Salanitro - Sacerdote Mercedario (14 Febbraio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
“Beati 20 Mercedari di Palermo” Confessori, vittime della carità (14 febbraio)

Ciminna, Palermo, 1591 - 26 ottobre 1626
Il Beato Vincenzo Salanitro, appartenente dell'Ordine dei Padri Mercedari, è nato e battezzato nel 1591 nella chiesa Madre di Ciminna diede tutto se stesso durante la suddetta peste che si abbatté nel '600 nella città di Palermo e proprio per questa assidua e benigna assistenza e soccorso verso i malati di peste con la conseguenza di cui anche loro sono stati anche contagiati e quindi morti; per questo gesto esso insieme ai suoi confratelli hanno avuto il glorioso attributo di martiri della carità.
I resti mortali di questo nostro grande Beato li possiamo vedere all'interno della Chiesa della Mercede al Capo sotto una lapide con scritto "Hic Salanitro iacet die 26 octobris 1626".
L'unica effige del Beato è collocata dentro la Chiesa Madre di Ciminna nella colonna di sinistra prima dell'altare del Santissimo Sacramento.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Vincenzo Vilar David - Padre di famiglia, Martire (14 Febbraio)

Manises, Spagna, 28 giugno 1889 – Valencia, Spagna, 14 febbraio 1937
Il beato spagnolo Vincenzo Vilar David, laico, durante la persecuzione religiosa ospitò nella sua casa Sacerdoti e Religiose, e preferì morire piuttosto che rinnegare la fede di Cristo. Giovanni Paolo II lo beatificò il 1° ottobre 1995.
Martirologio Romano: A Valencia in Spagna, Beato Vincenzo Vilar David, Martire, che durante la persecuzione contro la religione accolse in casa sua sacerdoti e religiose e preferì morire piuttosto che rinnegare la fede.
Anche gli impresari vanno in paradiso. Soprattutto se nella conduzione della loro azienda e nel rapporto con gli operai riescono ad incarnare la dottrina sociale della Chiesa e sanno mettere al primo posto la solidarietà, la giustizia e la collaborazione. Un imprenditore salito alla gloria degli altari il 1° ottobre 1995 è Vincenzo Vilar David.
Nasce il 28 giugno 1889 in Spagna, nella provincia di Valenza, ultimo degli otto figli di una famiglia profondamente cristiana, proprietaria di una fabbrica di ceramiche che ha ormai acquistato fama internazionale.
Allegro, estroverso, con una fede robusta che si traduce in concrete opere di carità, Vincenzo si laurea in Ingegneria industriale e dopo la morte prematura dei genitori, insieme a tre dei suoi fratelli si tuffa nella conduzione dell’azienda di famiglia e subito si distingue per il modo originale con cui la dirige. Nella sua fabbrica i rapporti sono guidati da un senso di giustizia e di solidarietà che permettono di superare contrasti e divisioni. Tratta i suoi dipendenti come veri amici, aiutandoli quando può, andandoli a trovare quando sono malati.
In fondo, Vincenzo altro non fa che seminare amore in ambito lavorativo come da sempre sta facendo nel gruppo dei suoi amici e tra i poveri della parrocchia. Che stia andando controcorrente lo
dimostrano le contestazioni e le difficoltà incontrare sul suo cammino, che tuttavia non riescono a farlo indietreggiare di un millimetro dalle sue convinzioni e dal suo impegno: fermo e sereno, nonostante tutto, nelle misure da adottare a favore dei suoi operai, nel suo impegno per la catechesi parrocchiale dei giovani, nei vari circoli ed associazioni cui aderisce o che dirige. Non si tira indietro neanche davanti agli impegni amministrativi che gli sono proposti, e per sette anni è vicepresidente della Corporazione Municipale della sua città, lasciando l’esempio di persona integerrima che cerca il vero bene della sua gente.
A 33 anni si sposa con Isabella Rodes Reig, una ragazza che condivide i suoi ideali e il suo impegno e che da quel momento diventa la più valida collaboratrice della sua attività in parrocchia e delle sue opere di carità. Sul piano culturale è impegnato nella fondazione del “Patronato Parrocchiale di Azione Sociale” per l’educazione cattolica dei ragazzi: è il suo modo per contestare e contrastare l’azione antireligiosa che dall’inizio degli anni Trenta il governo spagnolo sta attuando. Allo scoppio della rivoluzione antireligiosa del 1936 Vincenzo è dunque una persona troppo in vista e troppo impegnata per passare inosservato. Ed è anche troppo coraggioso.
Diventa l’ombra del suo parroco, per aiutarlo e difenderlo fino a quando questi verrà assassinato; accoglie nella sua casa sacerdoti e religiosi cercando di salvare loro la vita; continua imperterrito nelle sue azioni di sempre, nonostante le minacce ed i più o meno espliciti “avvertimenti”. Inevitabile, dunque, l’arresto di un cristiano così impegnato e scomodo. Davanti al Tribunale, dove avrebbe la possibilità di rinnegare le sue convinzioni religiose per aver salva la vita, si dimostra tutto d’un pezzo, contento e sereno per come finora è vissuto e per cosa ha operato. Perdona i suoi persecutori proprio pochi istanti prima che questi lo finiscano a fucilate, il 14 febbraio 1937.
I suoi dipendenti chiudono la fabbrica per tre giorni in segno di lutto e resistono a tutte le pressioni delle autorità che ne vorrebbero l’immediata riapertura, perché, dicono, Vincenzo non era solo un impresario, ma un padre per ciascuno di loro.
La sua beatificazione ha esaltato un “impresario santo”, che probabilmente avrebbe meritato la gloria degli altari anche senza il martirio, che tuttavia diventa il coronamento di una vita tutta impregnata di giustizia, di carità e di fede coraggiosamente vissuta.  

(Autore: Gianpiero Pettiti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Vitale di Spoleto – Martire (14 Febbraio)

Etimologia: Vitale = che dà vita, atto a vivere, dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Presso Spoleto in Umbria, san Vitale, martire, che l’osservanza della fede e l’imitazione di Cristo resero Santo.
Per questo Martire notizie non ve ne sono, tranne l’iscrizione su una lapide del IV secolo posta dal Vescovo di Spoleto, Spes, quando nell’ultimo ventennio di detto secolo si ritrovò il sepolcro nel villaggio Terzo della Pieve, distante 15 km da Spoleto, lo stesso vescovo gli dedicò un altare.
Nel “Sacramentario Gelasiano” antico e nella stessa iscrizione della lapide, San Vitale è accomunato nella celebrazione ai Santi Valentino e Felicola, lo studioso Delahaye, interpretando la frase “Christi passio” iscritta sulla lapide dice che il martire fu crocifisso. Nome di origine latina, significa "vigoroso, pieno di vita".  

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Zenone di Roma – Martire (14 Febbraio)  
A Roma sulla Via Appia, nel cimitero di Pretestato, ricordo di San Zenone, Martire.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Altri Santi del giorno (14 Febbraio)

*San
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